lunedì 14 aprile 2014

Rubrica letteraria: Le mie fiabe africane


Le mie fiabe africane
Nelson Mandela



E’ stato con mia grande sorpresa che un po’ di tempo addietro, rileggendo una biografia di Mandela e l’elenco dei suoi scritti, mi sono imbattuto in questo libricino (perché in effetti lo è nel vero senso della parola) e quindi, mosso dalla mia solita curiosità per l’insolito ed il diverso, l’ho acquistato. E’ veramente un libro di favole dedicato ai bambini, ma leggerlo non fa male neanche ai grandi,  perché c’è sempre una parte del  fanciullo che fu dentro di noi: d’altronde le favole non sono altro che ricordi ancestrali della cultura dei popoli, in questo caso popoli africani, e solo un uomo che ama (mi fa piacere pensare che “MADIBA” sia ancora con noi) la sua gente ed il loro spirito più profondo poteva pensare ad una raccolta di favole dopo essersi prodigato per salvare il Sud Africa e forse gran parte del continente africano da un bagno di sangue. Molto bella è la motivazione che Mandela ci consegna per aver raccolto queste storie:  “il mio più profondo desiderio è che in Africa la voce dei cantastorie possa non morire mai” La storia e la cultura africane sono per lo più orali e quindi non facilmente rintracciabili ne assimilabili, anzi molto spesso si perdono con il passare del tempo e delle generazioni, tanto da far apparire l’Africa come una terra senza cultura, tradizioni, civiltà, buona solo per essere occupata, sottomessa,  sfruttata e poi lasciata lì a morire.
 “Noi non vogliamo, non vogliamo affatto intendere, che quel che ci accingiamo a raccontare sia vero”. Queste sono le parole con cui i cantastorie “ASHANTI” iniziano i loro racconti e sono molto belle perché ogni storia raccontata da ognuno di noi ai nostri figli o nipoti, diventa una storia unica, arricchita o mutilata dalla nostra sensibilità, dalla nostra cultura, dai nostri ricordi, dalle nostre paure, o gioie: è la storia di chi la racconta. Naturalmente tutte le favole del mondo sono simili, ed anche qui c’è l’ammonimento per i bimbi disubbidienti, c’è Cenerentola, ci sono da risolvere indovinelli per poter realizzare un desiderio, c’è una specie  di Cappuccetto Rosso. Poi ci sono gli animali, tanti animali: scaltri o sciocchi, veri o magici, piccoli e grandi, forse sono loro, insieme alla natura, i veri protagonisti delle fiabe. Ma in ultimo, secondo me, si sente in ogni pagina l’Africa, con i suoi mille popoli e le sue mille culture. Quindi un libro affascinante ma di facile lettura, oltretutto i racconti sono molto brevi, si prende e si lascia con facilità,  si riapre in ogni momento del giorno, a colazione come a cena, ma sempre con gioia e allegria anche nelle favole più cupe. Naturalmente c’è una mia fiaba preferita ed è l’ultima; il suo titolo dice “ La madre che divenne polvere ”. Racconta il mito della Creazione visto con gli occhi di una narratrice del Malawi dove la parte principale è riservata alla nostra Madre Terra. Gli uomini non capiscono quanto lei li ami, continuano a litigare tra sé a sfruttarla senza alcuna riconoscenza fino a farla morire. Queste dunque sono le ultime righe di questo libro, ancora piene d’amore e speranza come ogni madre dispensa sempre e comunque ai propri figli...”E in quello stesso giorno di ogni mese, la Luna guarda i suoi figli che litigano e discutono. Scorge le figlie guidate dalla giovane donna e indaffarate a curare e guarire, a servire e salvare, così come faceva lei prima. Ma i figli delle figlie della Luna continuano a litigare, a scontrarsi a lamentarsi. E la Luna, vedendo tutto ciò, non può fare a meno di nascondere la faccia e piangere, prima di avere la forza di tornare a guardare , mostrando solo la metà del  suo volto. Poi poco alla volta si gira, finché  la sua faccia piena risplende con amore. In quelle notti, qualcuno coglie quell’amore e lo fa circolare. Le figlie della Luna intonano allora il canto di chi si prodiga per gli altri, esprimendo ancora un desiderio: che tutti i figli possano imparare di nuovo ad amare la Madre.

Proprio mentre pensavo a come riportare questo libro (i miei tempi di gestazione sono abbastanza lunghi), ho visto un articolo pubblicato sulla rubrica Cultura del quotidiano La Repubblica del 27 marzo scorso scritto da Desmon Tutu,  compagno di lotta di Mandela  e altro grande creatore  del moderno Sud Africa, che mi ha profondamente colpito, oltre che per il tema pubblico o politico che dir si voglia, per quanto di personale egli scriva e per quanto mi sia ritrovato in quelle righe.
Il titolo è:                          PERDONO MIO PADRE, IL SUDAFRICA E ME STESSO
Chi avesse voglia di leggerlo lo può trovare facilmente su internet e quindi scrivo queste righe solo per ricordare anch’io mio padre.
Fortunatamente mio padre non ha mia bevuto né maltrattato mia madre, però lavorava tantissimo, mi sembrava sempre burbero, chiuso, raramente mi faceva un complimento, quasi mai aveva tempo per stare con me, parco di lodi ricco di rimproveri. Era difficile in quell’adolescenza  “volergli bene”. Eppure eravamo, io e mia madre, tutta la sua vita.
Ho capito, questo,  molto tempo dopo, quando ha dovuto sopportare le mie isterie, soffrire in silenzio per la mia separazione, vivere da solo la solitudine della vedovanza, accogliermi adulto ancora sotto il suo tetto a sconvolgergli la vita; quando è morto e io non c’ero perché non potevo mancare in ufficio e la morte non sai quando arriva e non rispetta gli orari dell’ufficio.
Ho capito quale e quanto fosse il suo affetto dopo la sua scomparsa, quando lentamente un senso di colpa oscuro e strisciante mi è entrato dentro per non averlo mai ringraziato per quello che aveva fatto per me e per la mia vita. Per aver parlato poco tra noi, per  averlo sopportato,  per non essere stato lì vicino negli ultimi attimi di vita. 
Lui non poteva darmi di più non ne aveva i mezzi.                       
Allora termino questo ricordo con le parole di  Tutu...“TI CHIEDO SCUSA” , sono le parole più difficili da dire ma sono anche quelle che ci riscattano dagli errori “

Raffaele Strada

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